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INQUISIZIONE 2.0

Per secoli il potere della Chiesa, e di gran parte delle religioni, si è retto su un semplice assioma fondato sulla paura: esiste una e una sola Legge dettata da un Dio unico al quale devi credere per Fede, obbedendo ciecamente ai suoi sacerdoti, e se trasgredisci patirai pene eterne.
Un meccanismo quasi infantile che ci fa sorridere oggi, perché grazie a quegli uomini che hanno sgretolato la paura con la Ragione, spesso a costo della vita (per giunta vilipesi da quelle masse per le quali si sacrificavano), noi possiamo guardare a quegli oscuri tempi con la certezza che non si ripeteranno più.
È vero, non si ripeteranno più nelle stesse modalità, nessuno verrà più bruciato sul rogo per le sue idee non conformi al dogma, perché siamo uomini evoluti ormai. Talmente evoluti da non esserci nemmeno accorti di aver sostituito tout-court il dogma della Religione con quello della Scienza e che il Potere – evoluto anch’esso – lo utilizza nella stessa identica maniera (certo, non si può definire più “scienza” qualcosa che impone verità inconfutabili e rifiuta di mettersi continuamente in dubbio, fondamento di ogni pensare scientifico… ma tant’è).

Con i secoli cambiano i dogmi di riferimento e i relativi metodi per eliminare i blasfemi, ma non cambia il principio: Socrate fu obbligato a ingerire la cicuta dai pagani, Giordano Bruno fu bruciato vivo dai cristiani, Galilei fu costretto all’abiura per evitare la stessa fine, solo per citare alcuni dei più grandi accusati di divulgare fake-news nel passato. Grazie a loro non viviamo più in tempi così “barbari”, quindi per eliminare un eretico (che poi magari un giorno si scoprirà avere ragione) non abbiamo più bisogno di farlo fisicamente: in tempi di smaterializzazione, dove il virtuale ha sostituito il materiale, i processi e i roghi diventano mediatici così come la gogna, e chi proprio non si piega e continua a insistere che è la terra a girare intorno al sole contrariamente alle Sacre Scritture, viene oscurato dalla Rete, condannato al silenzio di quella che un tempo era la gattabuia, coperto di derisione e di insulti mediatici da parte della massa religiosamente indottrinata. Fine della dialettica, fine di ogni confronto… Ma allora non è cambiato nulla, ci siamo solo spostati dal piano fisico a quello virtuale? Se la Scienza (solo quella ortodossa) è la nuova religione, i virologi (solo quelli ortodossi) i suoi sacerdoti, i media (solo quelli ortodossi) i pulpiti per le loro prediche, i social le gogne, e il “ban” la nuova censura, cosa è cambiato? Eppure credevamo di essere liberi, come è potuto accadere?

È semplice, siamo noi che l’abbiamo permesso. L’assurgere della Scienza a dogma religioso – processo che si è reso particolarmente evidente in questi tempi di “emergenza sanitaria” – non è che una parte di quel Pensiero Unico che si è imposto con la nostra accondiscendenza negli ultimi anni. Eppure gli Illuministi ci avevano insegnato a diffidare di ogni pensiero che vuole imporsi come Verità Assoluta senza contraddittorio, ci avevano insegnato addirittura a combatterlo con tutte le nostre forze, anche e soprattutto proprio SE IN ACCORDO con esso.

“Non sono d’accordo con la tua opinione, ma morirei per difenderla”.

Questa frase, attribuita a Voltaire, dovremmo incorniciarla sul letto e meditarla ogni sera e ogni mattina. È proprio su questo che siamo inciampati negli ultimi anni e precipitati negli ultimi mesi. Non solo abbiamo accettato senza contraddittori il “politicamente corretto”, ma ne siamo diventati anche fanatici difensori, iniziando a perdere fatalmente la nostra libertà proprio a partire dall’offesa alla libertà d’opinione del prossimo. Per fare qualche esempio, ho visto commenti entusiastici di approvazione (piena di odio) per l’oscuramento di WebTV dissidenti, applausi per l’istituzione di Tribunali dell’Indice anti-fake news e addirittura ovazioni per la recente, inaudita, decisione di Youtube di rimuovere ogni video contrario alle indicazioni della Sacra Organizzazione Mondiale della Sanità. Sbagliato, perché una volta passato A QUALUNQUE TITOLO il principio di censura, un giorno potrebbe capitare anche a te, qualora ti venisse un pensiero fuori dai binari. È il principio che conta, non l’opinione che si va a censurare.

Questo è l’humus dove si è innestata la pandemia che ha permesso al Potere di sfruttare la paura per stringere ulteriormente i cordoni della libertà, dopo averla delegittimata intellettualmente per anni e aver già compiuto recenti “prove di emergenza” col terrorismo e la crisi economica, peraltro ben riuscite. La paura è una preziosissima alleata del Potere perché quando si ha paura si regredisce a uno stadio infantile, si spegne il cervello (ove presente) e ci si rifugia nell’abbraccio rassicurante di un’autorità paternalistica, sia essa il Presidente del Consiglio, il Papa, o la televisione di Stato. Atteggiamento comprensibile, per carità, ma bisogna sempre tener presente che si paga con la libertà. Certo, la libertà è un peso per chi ha paura, chi ha paura non vuole farsi domande, vuole soltanto che l’autorità lo protegga e che gli indichi cosa è Bene e cosa è Male, con la certezza di non essere mai contraddetto. Per questo il Potere avrà tutto l’interesse a mantenere lo stato di emergenza più a lungo possibile e i suoi poveri bambini impauriti – che lui stesso ha terrorizzato ad arte – obbedienti e soprattutto incapaci di sviluppare un pensiero individuale, l’unica arma in grado di rovesciarlo.

Ed è inutile che ce la prendiamo con chicchessia, è solo colpa nostra, sono i risultati di un processo che è progredito strisciante per anni col nostro consenso e che ci ha fatto dimenticare – imbambolati dal benessere – che la libertà è un valore NON NEGOZIABILE in nessun caso, terrorismo, crisi economica o pandemia che sia, come ho già scritto in altre riflessioni. È il valore supremo, posto più in alto della salute e della vita stessa, e che inizia proprio dalla difesa incondizionata della libertà di opinione altrui. E chi è senza peccato, scagli la prima pietra.

(Dipinto di Cristiano Banti – Galileo davanti al Tribunale dell’Inquisizione – 1857)

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FASCISMO IN MASCHERINA – FASE 2

“Lo schiavo è chi aspetta che qualcun altro lo liberi.” (Ezra Pound, “Dal naufragio di Europa”)

Nel mio post “Fascismo in mascherina” di quasi un mese fa – pubblicato nel pieno della temperie mediatica sul coronavirus quando tutti erano sopraffatti dal terrore – invitavo a fare lo sforzo di rimanere più che mai lucidi e attentissimi a ogni privazione di libertà imposta dall’emergenza. Concludevo con le parole “Almeno saremo pronti, e con le idee chiare, per ciò che accadrà dopo”.

Bene, il “dopo” è alle porte, ma per molti le idee non sono ancora chiare, e le dittature approfittano sempre della paura e della confusione per imporsi. Non importa quale idea vi siate fatti nel frattempo su tutta questa vicenda, l’importante è che vi siate fatti un’idea VOSTRA, qualunque essa sia, che abbiate preso una posizione cosciente basata su un’analisi spregiudicata dei fatti, senza ingoiare tutto ciò che viene propinato e senza lasciarvi trascinare dalle emozioni.

Quindi, se non l’avete ancora fatto, vi consiglio di approfittare di questo ulteriore periodo di isolamento per formarvi un’idea libera e individuale, preparandovi interiormente alla “fase due”. Non uscite, non fate bravate inutili che prestano solo il fianco ai patetici servizi delle televisioni di stato su grigliate condominiali sgominate dai droni, runner solitari che fuggono all’implacabilità della Giustizia su spiagge deserte, abominevoli coppiette che hanno osato appartarsi in macchina. Questi non sono gesti di ribellione, ma solo carburante per l’odio sociale, diventano pretesti per tenerci divisi e ciechi a tutte le privazioni di diritti che ci impongono un po’ alla volta, per poi forse non restituirceli più.

Dunque lo dico e lo ripeto: RIMANETE A CASA. Ma non rimaneteci come le pecore che belano “andràtuttobene”, perché non andrà tutto bene se non ci formiamo un pensiero libero. E per avere un pensiero libero bisogna per prima cosa informarsi sui fatti, su TUTTI i fatti, con occhio critico, distacco emotivo e senza alcun pregiudizio, bisogna ascoltare sia il telegiornale nazional-popolare che le trasmissioni dei “complottisti”, senza parteggiare né per l’uno né per l’altro (in medio stat virtus), analizzando i dati che ormai sono a disposizione di tutti (lo sapevate, per esempio, che ogni anno l’influenza stagionale uccide nel mondo tra le 300 mila e le 650 mila perone, bambini inclusi? Basta andare sul sito dell’OMS, così, per dire) e ascoltando tutte le campane, finché la pluralità sarà ancora concessa, perché una democrazia senza pluralità è una dittatura.

Tuttavia, come ho già scritto nel post precedente, la dittatura del ventunesimo secolo non avrà la faccia ben riconoscibile di un tiranno da abbattere, ma sarà l’emanazione di un potere acefalo che ci toglierà “per il nostro bene” i mezzi per formarci un pensiero libero, imponendoci la sua unica e incontestabile verità. Per fare ciò, il Potere ha sempre bisogno di una situazione di emergenza (mai sentito parlare della teoria della “shock economy” di Milton Friedman? L’ha applicata con successo il nostro caro Mario Monti nel 2012) da protrarre più a lungo possibile in modo da procedere a privazioni di libertà e stravolgimenti economici con l’assenso del popolo impaurito.

Così appaiono le “task-force”, ovvero direttivi NON ELETTI DA NESSUNO, con l’immenso potere di dividere il Giusto dallo Sbagliato: si forma l’arbitrario “Patto trasversale per la scienza” che decide cosa sia scientifico o meno, con il potere di delegittimare qualunque scienziato; la task-force “anti fake-news” che decide quali notizie siano attendibili e quali bufale, con il potere di ridurre al silenzio i dissidenti; la task-force per la “ripartenza” governata da amministratori delegati di multinazionali, che notoriamente fanno gli interessi del popolo; la task-force per le app di controllo degli spostamenti dei cittadini, e così via.

Queste sono già realtà, ormai, ve ne siete accorti? Sapete che esiste un “sistema unico di segnalazione del Comune di Roma” per denunciare, nell’anonimato, assembramenti di persone? Sapete che nella Roma occupata dai nazisti si poteva denunciare, nell’anonimato, dove si rifugiavano gli ebrei, o nella Russia sovietica dove si nascondevano i dissidenti? Sapete che (notizia di ieri) il Comune di Grugliasco ha costituito le “ronde anti-trasgressori” formate da cittadini in divisa che pattugliano la città in cerca di “furbetti” per consegnarli alla Giustizia? Sapete come si erano formate le squadre fasciste cent’anni fa e cosa facevano con il plauso della popolazione impaurita?

Ora il problema non è ciò che impone il Potere, ma il nostro assecondarlo, il nostro esserne complici interiormente. Svegliamoci. Con un pensiero forte e libero possiamo creare una barriera inespugnabile. Non c’è bisogno di fare del male a nessuno né di trasgredire la legge, nemmeno quella di restare a casa. Per il momento è sufficiente PENSARE (cosa più difficile di quanto si creda), approfittando di questo ulteriore confinamento. Prepariamoci, ognuno a suo modo, ognuno con la propria irripetibile individualità, a ciò che verrà dopo. Perché dopo saranno cazzi, già ci sono tutte le premesse. E non solo cazzi economici in un Paese indebitato fino al collo alla mercé delle multinazionali (perché il problema non è la Germania o l’Olanda, se non l’avete ancora capito), ma saranno cazzi per le nostre libertà personali, sempre – beninteso – con lo slogan “per la vostra sicurezza”.

Per evitare commenti inutili e fuori luogo, concludo ribadendo che io sono un libero pensatore e NON HO ALCUN COLORE POLITICO, me ne frego della destra e della sinistra, dei guelfi e dei ghibellini, e chi ancora si scanna per i politici – quelle tragicomiche marionette manovrate dai poteri economici – non fa che assecondare il loro gioco di mantenerci divisi, proprio in un momento in cui dovremmo essere più uniti che mai, almeno chi pensa con la propria testa.

Nel suo “Trattato del ribelle” (che vi invito caldamente a rileggere in questo momento storico), Ernst Jünger scriveva che una minoranza, per quanto minuscola, di esseri pensanti uniti in nome della libertà è il terrore di ogni dittatura. Infatti ogni dittatura aumenta sempre i sistemi di controllo in maniera apparentemente spropositata rispetto all’esiguo numero dei dissidenti, perché (cito Jünger) “tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto quei lupi sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. È questo l’incubo dei potenti”.

E questo, aggiungo io, dovrebbe essere il nostro sogno.

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UNA PICCOLA NUBE

“Osservò la scena, rifletté sulla vita e, come sempre gli capitava quando pensava alla vita, diventò malinconico. Una dolce tristezza si impadronì di lui. Sentì quanto fosse inutile lottare contro la sorte: questo era il bagaglio di saggezza che i secoli gli avevano trasmesso”.

James Joyce, “Una piccola nube” (Gente di Dublino, 1914)

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2 APRILE 1725 – NASCE GIACOMO CASANOVA, L’ITALIANO

Giacomo Casanova è un personaggio storico che l’Italia tutta dovrebbe celebrare nel giorno della sua nascita, non perché abbia compiuto grandi gesta militari o politiche e nemmeno per il suo valore di artista, ma semplicemente per il suo essere, in ogni suo gesto o pensiero, pienamente Italiano come nessuno prima di lui. Purtroppo viene sempre ricordato – un tempo con vergogna, ora con compassionevole ilarità – unicamente per la sua fama di seduttore e, al limite (ma solo tra i più eruditi), anche per la sua leggendaria fuga dalle carceri veneziane dei Piombi.

Scrittore, matematico, filosofo, esoterista, gastronomo, diplomatico, spia, alchimista, viaggiatore instancabile e innamorato dell’Universo Femminile, Casanova fu invece uno dei prodotti più felici dell’Italia settecentesca, di cui ha portato alla massima espressione i vizi e le virtù (che a ben vedere sono identici agli attuali). Non c’è paese europeo che non abbia toccato, né attività che non abbia intrapreso, né personalità che non abbia incontrato – da Voltaire a Mozart, passando per Luigi XV e Caterina di Russia – perfettamente a suo agio sia nel cosmopolitismo dell’aristocrazia che nel particolarismo delle classi popolari.

Un “filosofo in azione” lo definisce entusiasticamente Philippe Sollers, uno dei maggiori intellettuali francesi (e non stupisce che le perle da noi trascurate debbano sempre essere notate dagli stranieri), parlando del monumento che ci ha lasciato, tra gli scritti più importanti al mondo per comprendere e vivere il XVIII secolo europeo: la “Storia della mia vita”, ponderosa opera autobiografica in vari tomi che tuttavia scorre lieve, pregna di quella freschezza e “joie de vivre” tipica dell’Ancien Régime. Perché Casanova fu pienamente figlio del suo tempo, senza mai rinnegarlo e anzi rimpiangendolo dopo gli eccessi della Rivoluzione Francese, come fu figlio della sua patria che, sebbene all’epoca fosse la Repubblica di Venezia, rappresenta come la Firenze dantesca l’Italia intera.

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FASCISMO IN MASCHERINA

Dopo anni di ridicole ossessioni per un immaginario ritorno del fascismo, ora ve lo ritrovate a casa e nemmeno l’avete riconosciuto. Pensavate che sarebbe apparso in fez e camicia nera e invece indossa la mascherina chirurgica; credevate che avrebbe tentato di impaurirvi con l’invasione di un nemico in carne ed ossa, fosse anche un esercito di migranti, e invece vi mette davanti un “nemico invisibile”. D’altronde i tempi cambiano, e con loro i mezzi per suscitare la nostra paura atavica della morte.

Ora non voglio entrare nel merito dell’epidemia, degli errori statistici che si stanno compiendo (se i tamponi vengono fatti solo sui pazienti gravi perché non si hanno i mezzi per farli su tutti, è ovvio che la mortalità relativa risulta più alta), né sulle stringenti misure adottate perché non si sa che pesci prendere con un sistema sanitario indebolito – non solo in Italia – per rispettare i vincoli di bilancio (è grottesco che prima vengono chiusi gli ospedali “per risparmiare” e adesso si devono riaprire in quattro e quattr’otto), né tantomeno vorrei esortarvi a non seguire le regole imposte: state a casa. Seguite il mantra. State a casa e non trasgredite la legge. Ma, vi prego, NON SIATENE COMPLICI. Ubbidite, ma rimanete attentissimi, svegli, critici, senza farvi sopraffare dalla paura, perché da che mondo è mondo la paura è l’arma del tiranno.

Non inveite, dunque, contro chi fa jogging o porta a pisciare il cane, facendovi strumento di un Potere che incanala la vostra frustrazione da isolamento verso innocui individui che non vanno a influire minimamente sul contagio, e soprattutto non fatevi gendarmi di questo regime andando a denunciare chi esce a fare una passeggiata solitaria. Non arrivate, vi prego, al punto di invocare addirittura la presenza dei militari nelle città… I MILITARI! Ma vi rendete conto della follia? L’esercito per le strade a controllarci uno per uno, la legge marziale invocata dal popolo stesso: il sogno di ogni dittatore. E come se non bastasse, ormai proni a ogni privazione di libertà, desiderate perfino che vengano monitorati, con apposite app su smartphone o con gli odiosi droni, gli spostamenti di ogni cittadino/untore, voi compresi. Per sempre. Perché sapete bene che una cosa del genere sarà per sempre.

Vi prego, prendetevi a schiaffi (forti), e svegliatevi: molte delle libertà che ci stanno togliendo ora a suon di decreti (di fatto esautorando il parlamento di ogni potere) non verranno più restituite, come del resto è accaduto a livello mondiale negli ultimi vent’anni grazie all’altra grande “paura”, quella del terrorismo, con lo slogan “For your safety – Per la vostra sicurezza”. E sarete proprio voi, se non vi sveglierete, a non volere più quelle libertà, anzi vi farete complici di ulteriori soprusi e accorrerete in massa gioiosi a farvi impiantare un microchip sottopelle, per dirne una.

Perché la dittatura perfetta non comanda, ma mette il suddito nelle condizioni di desiderarla.

Dunque rispettiamo la legge, stiamo a casa, ma senza paura. Osserviamo con spirito critico ciò che accade e rimaniamo sempre implacabilmente all’erta, pronti a ribellarci (certo ora è impossibile, vietatissimo, perché tutti i moti di ribellione mondiali, anche i più perniciosi, sono stati messi a tacere in un sol colpo grazie al virus, guarda un po’).

Il fascismo del ventunesimo secolo è proprio questo. Lo so, non è pittoresco come quello di cent’anni fa, non ha un dittatore ben individuato da appendere a testa in giù, ma è frutto di un Potere acefalo, globale e indefinito, che però utilizza sempre la stessa arma della paura, mettendoci l’uno contro l’altro. “Siamo in guerra” ci ripetono fino alla nausea, fino al punto di farcelo credere veramente, amplificando ad arte la paura della morte per farci accogliere acriticamente qualunque “legge speciale” (solo il nome mi mette i brividi).

E invece no. Invece, quando ci sentiamo sopraffatti dalla paura al punto di accettare – o peggio, di invocare – qualunque privazione di libertà, fermiamoci a pensare a tutti gli uomini che sono morti per donarcela. Pensiamo che adesso noi stiamo compiendo proprio il processo inverso: per paura di morire, rinunciamo a quella libertà per la quale altri sono morti senza paura, perché combattevano per un’ideale che andava oltre l’attaccamento alla vita. Pensiamo a loro, e fermiamoci a respirare, e a riflettere quantomeno.

Finora abbiamo data per scontata la libertà che avevamo, non ce ne siamo quasi accorti, e forse è arrivato il momento di rendercene conto. Almeno saremo pronti, e con le idee chiare, per ciò che accadrà dopo.

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ELIOGABALO

Antonin Artaud non poteva non trovarsi a suo agio nel narrare la vita di Eliogabalo, “l’anarchico incoronato”: erotismo, esotismo ed esoterismo esplodono in uno spettacolo pirotecnico surrealista e a tratti teatrale (d’altronde parliamo di Artaud), in una prosa colta, cruda e sensuale.

Sarà che sono temi da me prediletti: Roma – rappresentata dal vecchio Settimio Severo che giunge in Siria – al principio della sua decadenza, una Roma ormai intossicata di Oriente, non la Grecia, ma un Oriente lontano, assoluto, iniziatico, tuttavia già da tempo decomposto – e dunque velenoso – rappresentato da una delle quattro Giulie “belle e pronte per il doppio mestiere d’imperatrici e sgualdrine”, quella Giulia Domna che il Severo prende in moglie per il volere di un oracolo siriano che la qualifica come Pietra di Luna, “Diana, Artemis, Ishtar, e anche Proserpina, la forza del Nero Femminile.”

Le Giulie allo stesso tempo nonne, madri, sorelle, puttane e concubine incestuose di Eliogabalo, “nato in una culla di sperma”, tra culti misterici e riti di sangue, dove gli archetipi del maschile e del femminile si invertono e si mescolano fino al miraggio dell’androgino originario: Eliogabalo sacerdote-bambino del Sol Invictus, nato ad Antiochia nel 204 d.C. sotto l’impero di Caracalla e imperatore a sua volta, assassinato in una latrina all’età di diciott’anni.

Il capolavoro di Artaud narra la sua vita, tanto breve quanto incredibile, nell’unica maniera che le rende giustizia, tra rimandi metafisici e carnali pregni di precisi simboli esoterici e divinatori, messa in scena sul palcoscenico di un Oriente descritto con realismo onirico, del quale possiamo avvertire con nitidezza profumi e olezzi, non solo fisici.

Un libro complesso da leggere più volte, un giardino di delizie per gli amanti di quel gusto per l’esoterismo degli anni ’20 e ’30 che donò profondità al precedente decadentismo, in cui l’amalgama di sacralità e sensualità rimase perlopiù confinata a un livello estetico senza penetrare negli abissi dell’inconscio dove l’ha condotta Artaud.

Astenersi minimalisti.

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L’ULTIMO CARNEVALE DEL MONDO

Vi giuro, quel giorno Venezia era così. Nessun filtro. Un cielo al tramonto che sembrava uscito dal pennello di Tiepolo, il riflesso sui canali immobili di bassa marea e un silenzio assoluto, imprevisto per l’ultima domenica di carnevale, il giorno in cui tutto precipitò.

A dire il vero non avevamo capito molto, quando appena risorti dai bagordi notturni ci vomitarono addosso messaggi e telefonate: coronavirus, carnevale cancellato, feste vietate, partenze di massa, quarantene, contagi, morti.

Al carnevale la percezione degli eventi esterni alla laguna è falsata e trasfigurata, sempre ammesso che avvenga. Per cui – dopo aver ricevuto assicurazioni sulla nostra unica preoccupazione, ossia il regolare svolgimento delle feste in programma – accogliemmo tali notizie con una singolare eccitazione aromatizzata dall’inquietudine: chi eravamo dunque noi che ci aggiravamo in tricorno, parrucca e bastone tra sparuti e impauriti viandanti in mascherina chirurgica? Dov’erano i confini del mondo ora improvvisamente ridotto a quell’intrico di calli e canali tinti di rosa? Ci avrebbero forse relegati lì, in quarantena, con nient’altro da indossare se non costumi settecenteschi e nient’altro da bere se non prosecco? Di questo si parlava la sera alla festa, e in tutti gli occhi leggevo la malcelata speranza che si potesse finire proprio così, in un turbine di baccanali tra soffitti affrescati e damaschi e arabeschi, abbigliati in abiti e belletto di secoli passati, sopraffatti dalla splendida depravazione della fine, come in un dipinto manierista di orge da basso impero, o nella sempiterna fascinazione degli ultimi giorni della Serenissima: l’ultimo carnevale del mondo.

Ma in questo, di mondo, non si riesce più a concepire poeticamente la vita, figuriamoci la morte. Anche il coronavirus, anziché ispirare poeti come fece la peste per Boccaccio, viene ridotto a uno sterile elenco di statistiche e danni economici. Però quel giorno, a Venezia, il tramonto aveva quella luce, mai vista una luce così. O forse non me ne sono mai accorto prima, perché la Bellezza si rende più evidente proprio nei momenti tragici. Non salverà il mondo, certo, ma può regalarci una fine sublime.

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LA CROCIATA DEGLI INNOCENTI – 21 FEBBRAIO 1920

“I bambini sfilavano via ordinati all’uscita del teatro, serrandosi al braccio delle madri, fiere di trattenere il pianto. La bora assassina di febbraio prendeva a rasoiate la faccia e congelava aliti e lacrime in un fine nevischio. Nonostante la divisa pesante, il maglione a collo alto della trincea e il mantello grigioblù rubato alla cavalleria francese, tremavo appoggiato a un angolo della piazzetta di Sant’Andrea, io che avevo resistito agli inenarrabili inverni del Carso. E quei bambini, invece, marciavano serissimi e compunti con le ginocchia scoperte, senza una sbavatura, che il maggiore sarebbe stato fiero di loro e avrebbe ficcato medaglie su tutti quei baveri consunti. Quegli stessi bambini che tutti i giorni improvvisavano qua e là comizi sulle scale di casa, chiamando all’adunata altri coetanei e spesso superando in maestria i discorsi che udivano dai grandi – esordendo con qualcosa come “Fanciulli di Fiume, bambini d’Italia, in questo giorno solenne…” e concludendo sempre con un argentino alalà – avevano appena ascoltato al teatro Fenice il discorso tenuto in loro onore dal Comandante in persona e dal nuovo capo di gabinetto Alceste De Ambris: il discorso per i primi duecentocinquanta bambini – che arriveranno fino a quattromila entro l’estate – costretti ad abbandonare Fiume per non morire di stenti degni di una rocca assediata dai Lanzichenecchi.”

Dal mio “Sulla cima del mondo – il romanzo dei ribelli di Fiume”, ed. Historica 2019.

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LE SPOGLIE DI RICCARDO GIGANTE

Oggi le spoglie di Riccardo Gigante, sindaco di Fiume nel periodo dannunziano (nonché, successivamente, podestà e senatore del Regno), saranno finalmente tumulate al Vittoriale, accanto a Gabriele d’Annunzio e ad altri legionari fiumani, nell’arca per lui predisposta dal Vate.

Si chiude così simbolicamente il cerchio di una storia iniziata 100 anni fa, una storia di stima e di amicizia che legò Gigante e d’Annunzio, una storia finita per Gigante in una foiba di Castua il 4 maggio del 1945.

Parlo di lui e della sua tragica fine nel mio “Sulla cima del mondo – il romanzo dei ribelli di Fiume”, tra gli eroi che fecero dell’Impresa di Fiume “la bella tra le belle”.

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LE FONDAMENTE NOVE

“Davanti alle Fondamente Nove cercava l’ispirazione da quell’inutile sole invernale, che avrebbe donato ancora per qualche minuto pallidi riflessi paglierini all’isola di San Michele.”

da “Il Sole a Occidente”, parte III, cap. IV