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UN FUOCO FATUO CHE CI ILLUMINA ANCORA

“I drogati sono i mistici di un’epoca materialistica che, non avendo più la forza di animare le cose e di sublimarle in simbolo, operano su di esse un procedimento inverso di riduzione e le consumano e le logorano fino a raggiungere in esse il nucleo del nulla. Essi sacrificano al simbolismo dell’ombra per controbattere il feticismo del sole, che detestano perché ferisce occhi già stanchi.”

Nel novembre di 90 anni fa, moriva suicida con un colpo di rivoltella al cuore lo scrittore surrealista-dadaista Jacques Rigaut, appena trentenne. La parabola della sua vita geniale e dissoluta viene raccontata nelle sue ultime fasi dall’amico Pierre Drieu La Rochelle nel romanzo “Fuoco fatuo” (titolo originale “Le feu follet”), da cui è stato tratto il film omonimo di Louis Malle nel 1963. Purtroppo nel film, che risente del noioso bigottismo anni ’60, Rigaut non viene presentato come eroinomane, ma come “semplice” alcolizzato (dove tra l’altro si intravede bere in una sola scena), il che va a sovvertire completamente la valenza del suo essere tossicomane in rapporto alla società del tempo.

Ovvio che consiglio la lettura del romanzo – forse la produzione migliore di Drieu La Rochelle, morto anch’egli suicida nel 1945 – nel quale non si racconta solamente la vita dannata di Rigaut, ma di tutta quella generazione di artisti ribelli uscita dalla Prima Guerra, una generazione che cercava, in quel decennio irripetibile dei “folli” anni ’20, la sua strada, fosse anche quella di chiamarsi fuori da un’Europa in deriva materialistica, dove l’arte e il culto della Bellezza cantavano – in un ultimo ineguagliabile barbaglio di splendore – il loro requiem.

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AI MIEI LETTORI

In questi tempi di volgare visibilità non basta scrivere un bel libro. Non contano, come dovrebbero, gli apprezzamenti del lettore colto o del critico raffinato – dunque la “qualità” – ma ciò che decreta la fortuna o la sfortuna di un’opera è esclusivamente la “quantità”: quanti libri venduti, quante recensioni, quanti like. Non entro nel merito di ciò che è giusto o sbagliato, mi limito a constatare lo spirito dei tempi. E ad accettarlo, mio malgrado.

Dunque vi ringrazio di cuore per i messaggi di apprezzamento che ricevo quotidianamente in privato per il mio “Sulla cima del mondo”, sono la più grande soddisfazione per uno scrittore, credetemi. Tuttavia vi invito, se ne avete voglia e se avete amato il romanzo, a rendere pubblico il vostro apprezzamento tramite foto, post e story sui social, e con recensioni sulle librerie on-line come Amazon o IBS.

Contro lo strapotere e il monopolio dei colossi editoriali, nonché del triste “pensiero unico” imperante, il PASSAPAROLA (reale o virtuale che sia) è la nostra sola arma. Anziché subire l’imposizione di questi strumenti “social”, serviamoci piuttosto di loro per far circolare le nostre idee. Anche e soprattutto se scomode, controcorrente, scorrette, almeno finché sarà possibile.

Da una Roma grigia flagellata da uno scirocco impietoso, vi auguro una bella domenica. E vi ringrazio ancora.

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A NOVANT’ANNI DALLA MORTE DI GUIDO KELLER

“Sei morto presto, Guido Keller, dieci anni appena da quel momento, troppo presto per accorgerti che quel futuro non sarebbe mai esistito, che la Storia avrebbe tradito i tuoi sogni di mondi liberi, come te, nel cielo; sei morto presto, e la Storia beffarda ha tradito anche te, proprio te che volavi sulle terre irredente e duellavi coi cavalieri dell’aria, e vincevi, e gli avversari stessi ti scortavano fino al campo con gli onori degni di un generale romano; la cinica Storia ti ha fatto morire sulla volgare terra, sul legno di un platano solitario come il tuo cuore, che aspettava insieme al destino ineluttabile la tua automobile e ti ha rubato in un solo schianto vita, libertà, e follia.

Sei morto troppo presto, Guido Keller, e hai lasciato al mondo intatta la tua giovinezza ardita e pazza come un dono che nessuno ha saputo comprendere.”

Tratto dal mio romanzo “Sulla cima del mondo – il romanzo dei ribelli di Fiume”, ed. Historica 2019.

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L’IMAGINIFICO

Un’altra biografia di Gabriele d’Annunzio? Sì, perché le biografie di un personaggio poliedrico e multiforme come d’Annunzio non sono mai abbastanza.

Nel suo ultimo, splendido lavoro, Maurizio Serra ci regala una biografia del Vate non solo esaustiva anche nei particolari e nei personaggi, ma ben articolata sia con il dorato mondo della belle-époque e dei primi del Novecento, sia con l’ambiente culturale francese dell’epoca, di cui Serra è un profondo conoscitore.

Il libro infatti è uscito in francese nel 2018 per i tipi di Grasset, vincendo il Prix Chateaubriand e il Prix de l’Académie des Littératures, offrendo un ritratto di d’Annunzio vicino alla sensibilità e alla cultura del lettore d’oltralpe. Questa, a mio avviso, è la vera particolarità di questo testo che ci permette di incontrare da vicino e con dovizia di particolari quei personaggi così importanti nella vita di d’Annunzio durante i lunghi soggiorni nella sua seconda patria, spesso un po’ trascurati dai biografi italiani.

Un’opera ponderosa di circa 700 pagine che scorrono come un romanzo, ricchissima di note esplicative e rimandi a testi notevoli, condita da quella sensibilità da fine diplomatico qual è Maurizio Serra.

Lettura, se non l’avete ancora capito, consigliatissima.

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DI QUELLA VOLTA AL CAFFÈ SAN MARCO DI TRIESTE

Era un giorno di gennaio del 2012, la bora prendeva a rasoiate la faccia ed era impossibile solo pensare di camminare per strada. Io e Gaia Clotilde Chernetich rimanemmo piacevolmente prigionieri nel caffè San Marco per un pomeriggio intero, persi in discorsi letterari tra sacher e vini friulani. Lei era nel pieno dell’editing del mio Il Sole a Occidente, ma io già pensavo al mio nuovo scritto: fu lì che prese forma, per la prima volta, l’idea di un romanzo ambientato nella Fiume dannunziana.

La mia idea era più nebulosa del cielo di Trieste, ma la esposi a Gaia con quell’eccitazione che solo una bottiglia di sauvignon riesce a dare, e lei ne rimase entusiasta (certo, la bottiglia di sauvignon l’avevo divisa con lei).

Da quel giorno – questo ogni scrittore lo sa – l’idea iniziò a maturare in me per anni, fino al parto del romanzo avvenuto l’anno scorso. Mai avrei immaginato, in quel giorno di bora infernale, che sette anni più tardi avrei presentato a Trieste il mio “Sulla cima del mondo” proprio in quello stesso caffè che assistette al suo concepimento, e che Gaia, ancora una volta, ne sarebbe stata l’insostituibile editor (no, forse questo già lo immaginavo).

È stata una presentazione magnifica in un’atmosfera unica, emozionante, ancora di più per i ricordi legati a quel caffè. Ringrazio Alessandra Linda e Fabrizio Loi per l’organizzazione impeccabile e per aver permesso tutto ciò; Erica Culiat per avermi presentato con estrema professionalità e interesse; il pubblico numeroso e attento, e gli amici arrivati anche da luoghi lontani, primi fra tutti mio fratello Paolo Massimo Donfrancesco e Daniele Guarino.

La serata si è conclusa – ovviamente – in osteria con una cena triestina innaffiata da birra bavarese, poi con il doveroso omaggio alla statua di d’Annunzio appena inaugurata (tra sciocche polemiche di poveri ignoranti) in piazza Borsa. Non poteva infatti mancare il mio ultimo ringraziamento al Vate, il cui spirito ha vegliato sulla mia scrittura in ogni momento.

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L’ITALIA MORALISTA E BENPENSANTE COLPISCE ANCORA

Apprendo oggi che un’associazione italiana di esuli ha rifiutato di presentare il mio romanzo “Sulla cima del mondo” perché ha un CONTENUTO SESSUALE TROPPO ESPLICITO. Per questo motivo nemmeno ne consiglierà la lettura agli associati.

La censura, del tutto inaspettata, piomba in un giorno dell’Italia del 2019 e non del 1919, quando i futuristi combattevano la loro santa lotta contro l’Italia borghesuccia e bigotta, la stessa lotta di quei giovani pieni di ideali nella breve stagione fiumana, quelli che venivano chiamati le “teste calde”, gli “scalmanati”, che volevano cambiare il mondo, che sognavano l’amore libero, la parità dei sessi e il superamento della morale borghese.

E mentre lottavano, SCOPAVANO. Sì, scopavano, e pure tanto, al di là di ogni regola: amori eterosessuali, omosessuali, bisessuali, che piaccia o no.

Nell’Italia di allora fu un comprensibile scandalo (come dimenticare le lettere del bacchettone Turati alla Kuliscioff?) e non sorprende che fu uno dei motivi per l’annientamento di Fiume, ormai considerata, in malafede, solo un immenso puttanaio. Ma adesso, a distanza di un secolo, mi si accusa di essere troppo sessualmente esplicito. Avrei forse dovuto occultare – come molti hanno già fatto – questa parte così importante dell’avventura fiumana? No di certo. Allora in che modo pensano, questi signori, possa narrare un giovane del tempo le sue avventure erotiche? Utilizzando grotteschi eufemismi come “feci volare il mio uccellino nel suo bosco incantato”? Oppure “lei assaggiò il mio gelato alla vaniglia”? No, il protagonista usa le parole che si utilizzavano e si utilizzano tuttora: cazzo, fica, culo. Tutto qua. Senza peraltro scadere mai, dico MAI, nella volgarità o nella pornografia.

Povera Italia ancora imbevuta di Manzoni e De Amicis, di quelle biblioteche stantie che Marinetti voleva (simbolicamente) distruggere, assieme al chiaro di luna e agli “oh, caro”! Se pensavate di trovare l’ennesimo romanzo elegiaco sull’Impresa di Fiume, irredentista e patriottico, fatto di fulgidi eroi asessuati di sani principi, di buoni sentimenti e devoti al Re e alla Patria, avete sbagliato. Io cerco di narrare quella parte di verità che si è voluta nascondere per decenni, e lo faccio senza giri di parole, con personaggi veri e irriverenti che non si vergognano di mostrare le loro parti “scabrose”.

E come il tenente Guido Keller, che invocava l’amore libero e praticava il nudismo sulle spiagge di Fiume scandalizzando le signore in corsetto (che tuttavia prendevano il binocolo per vederlo meglio), concludo con un giocondo ME NE FREGO.

Ringrazio sempre la modella Nolwen Smet (cui ho dovuto a malincuore tagliare la parte di foto che mostrava i capezzoli, per non incorrere anche nella censura di Facebook… ma questo è un altro penoso discorso che non voglio nemmeno cominciare) e Xstudios per l’elaborazione grafica.

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BREVE STORIA CON FINALE ALCOLICO-ESISTENZIALISTA

La mattina è sempre difficile mettermi a scrivere, ci giro intorno, perdo tempo. Così, per fare una cosa inutile, stamattina ho dato un’occhiata alla classifica Amazon dei libri più venduti in Italia.
Al primo posto trovo “LE CORNA STANNO BENE SU TUTTO MA IO STAVO MEGLIO SENZA” di una tal Giulia De Lellis, libro che ancora non è stato pubblicato e uscirà il 17 settembre. Fantastico, chi mai può realizzare in prevendita un simile risultato? Come mai non conosco una siffatta letterata?
Cercando di ignorare l’orrore suscitato dal titolo – non devo avere pregiudizi, non devo avere pregiudizi, non devo avere pregiudizi – mi metto a cercare notizie sulla scrittrice e mi rendo immediatamente conto che forse ero l’unico a non conoscerla.
Leggendo la sua biografia tra Grande Fratello, Uomini e Donne, motociclisti e tronisti, all’orrore si è aggiunto il raccapriccio per una sua celebre uscita in cui si vanta di non aver mai letto un libro nella vita, poi si corregge, ah sì, forse solo il Piccolo Principe di Saint-Exupéry. Forse.

Allora ho spento il computer e me ne sono andato al mare, tanto ormai la mattina era andata a puttane.

Ecco, sono alla quarta Menabrea e mi è ormai chiarissimo che periremo tutti tra le fiamme dell’inferno.