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SUI PARADISI ARTIFICIALI (4/7): L’ECSTASY E IL PARADISO PERDUTO

Lucas Cranach il Vecchio, “L’età dell’oro” (1530)

Partendo dal lontano Oriente, il nostro percorso di conoscenza scientifico-spirituale delle sostanze stupefacenti si è ora avvicinato al Centro, dove incontriamo come prima sostanza caratteristica l’ecstasy. Si tratta di una droga recentissima entrata prepotentemente nell’evoluzione dell’umanità durante gli ultimi quarant’anni, e che non può di certo vantare una storia millenaria come le già esaminate oppio e cannabis. Allora cosa l’ha resa degna di una trattazione accanto a tali blasonate cugine? Innanzitutto la sua larga diffusione che l’ha portata ad essere la quarta droga più consumata nel mondo, nonché la sua assoluta unicità di azione che non trova riscontro in nessun’altra sostanza: l’ecstasy è la droga dell’equilibrio, della completezza, del “ritorno a casa”. Equilibrio perché in questa sostanza le caratteristiche luciferiche e arimaniche raggiungono un bilanciamento perfetto – del resto stiamo parlando di una droga del Centro – convivendo in un’atmosfera che potremmo definire di collaborazione e non di contrapposizione; completezza perché nei suoi effetti sono in un certo senso “riassunti” gli effetti di tutte le sostanze stupefacenti conosciute dall’umanità, dalla stimolazione cocainica al deliquio oppiaceo, dall’espansione di coscienza lisergica all’amore universale della cannabis; il “ritorno a casa” perché in nessuna delle droghe appena citate è così forte la sensazione di essere tornati dove tutto è iniziato, nel giardino dell’Eden, in quello stato di purezza antecedente al “peccato originale” che caratterizzava l’umanità della prima epoca Lemurica. Di quest’ultima l’ecstasy evidenzia soprattutto la condivisione e la vicinanza animica con gli altri esseri del creato, in una sorta di coscienza collettiva consapevole dell’amore e della saggezza che governano il mondo, cosa ovvia per l’uomo di quelle epoche: non a caso il primo nome in uso per l’ecstasy è stato proprio “Adam”.

Di certo i primi ricercatori e psichiatri che la utilizzarono non avevano conoscenze iniziatiche, ma battezzandola come Adam sicuramente percepirono il suo forte richiamo a una condizione primordiale dell’umanità. L’appellativo di “ecstasy” cominciò a entrare in uso quando tale sostanza si identificò sempre di più – in un certo senso banalizzandosi – con l’ambiente delle discoteche come la “droga per ballare”. Tuttavia questo è un altro elemento che la ricollega all’epoca Lemurica, quando per l’uomo esisteva la danza come vitale e unica forma artistica con la quale seguiva la musica delle sfere, il ritmo della vita, dei pianeti, della natura e degli dei che era ancora in grado di percepire: l’uomo danzava in una coscienza collettiva senza soluzione di continuità tra la propria individualità e quella degli altri uomini, tra sé e la natura, e soprattutto tra la propria coscienza e quella divina, con la quale ancora formava un tutt’uno.

Jean-Auguste Dominique Ingres, “L’età dell’oro” (1862)

L’ecstasy si propone lucifericamente proprio di far sperimentare quello stato paradisiaco per il quale l’uomo ha sempre conservato inconsciamente una forte nostalgia e, per rendere l’uomo attivo e lucido in questa esperienza, stavolta Lucifero “chiama in aiuto” Arimane, con il compito di trattenere l’Io del consumatore sulla Terra, nel qui ed ora insieme agli altri uomini, senza permettergli di perdersi nei mondi astrali come accade per l’oppio e la cannabis (è chiaro che anche in questa condizione – come per tutte le droghe – l’Io resta un semplice spettatore degli effetti che produce la droga sui suoi corpi costitutivi, conservandone certamente il ricordo una volta che l’effetto è svanito, ma senza aver acquisito alcuna evoluzione data dal suo attivo operare).

Per comprendere il peculiare meccanismo di azione dell’ecstasy sui corpi costitutivi, bisogna prima dare uno sguardo alle entità vegetali da cui deriva, nonché alla sua storia.

A differenza delle droghe fin qui esaminate, l’ecstasy non è una sostanza completamente naturale ma semisintetica, in quanto alla molecola di partenza, il “safrolo”, viene aggiunta chimicamente la parte amminica. Il safrolo è un composto aromatico tossico presente in diversi vegetali anche di uso alimentare, come la noce moscata, lo zafferano, il pepe nero e il cacao. È interessante notare come questo nucleo safrolico sia il responsabile degli effetti luciferici di espansione dei corpi superiori da parte dell’ecstasy – che possiamo quindi chiamare a buon diritto una “spezia per l’anima” – mentre la parte aggiunta sinteticamente la rende simile ai neurotrasmettitori come l’adrenalina e la dopamina, ed è la responsabile degli effetti arimanici di veglia e iperattività “terrestre” dovuti al maggior inserimento di una parte dei corpi superiori nel corpo fisico.

La sintesi dell’ecstasy a partire dalla noce moscata è dovuta al chimico tedesco Fritz Haber nel 1898. Brevettata dalla Merck nel 1912, ne fu tentato l’impiego come anoressizzante e stimolante per le truppe della Grande Guerra, con scarsi risultati. In seguito alla sconfitta della Germania, l’ecstasy e molte altre sostanze brevettate vennero consegnate agli Stati Uniti come bottino di guerra, e così l’ecstasy lasciò il suo luogo di nascita nel Centro per spostarsi in Occidente, cadendo nell’oblio per qualche decennio. Chi la riportò in vita fu il valente biochimico e farmacologo californiano Alexander “Sasha” Shulgin, di padre russo e madre statunitense (curiosamente anche nella sua persona si incontravano l’Oriente e l’Occidente), che a partire dagli anni ’60 si occupò di sintetizzare e provare su se stesso più di duecento sostanze psicoattive – tra le quali l’ecstasy – dopo l’incontro karmico con la mescalina che cambiò per sempre la sua esistenza.

Alexander “Sasha” Shulgin

“Quel pomeriggio compresi che il nostro intero universo è contenuto nella mente e nello spirito. Noi possiamo scegliere di non accedervi, possiamo addirittura negarne l’esistenza, ma nondimeno esso è dentro di noi, ed esistono sostanze chimiche in grado di favorirne l’accesso”. (A. Shulgin, “Dr. Ecstasy”, 2006)

L’ecstasy fu così introdotta e utilizzata estensivamente in psichiatria soprattutto in California che, come vedremo nell’articolo sugli allucinogeni, si configura come il vero e proprio “centro misterico” della modernità.

Parallelamente iniziò il suo uso voluttuario che le fece riattraversare l’oceano per trovare come primo approdo l’isola di Ibiza degli anni’80, dove si unì in un legame felice e indissolubile con la prima house-music: sonorità tribali ancestrali e danza, uniti a uno stato interiore di amore universale, nell’isola da sempre associata a felicità e spensieratezza: il Paradiso Perduto era ritrovato. Proprio grazie a questa potente illusione luciferica – basata però su qualcosa di reale e condiviso, e non su un paradiso interiore e immaginario come quello dell’oppio – l’ecstasy si è poi diffusa in tutto il mondo, rimanendo associata all’ambiente delle feste, delle discoteche e dei rave-party, ovunque si potesse creare una comunità basata sull’empatia e l’amore (artificialmente indotti, come vedremo) a ritmo di musica. Per comprendere veramente l’effetto dell’ecstasy non si può mai prescindere dalla relazione costante con gli altri consumatori.

L’Amnesia di Ibiza, estate 1989

Come abbiamo visto per la cannabis, l’effetto “sociale” è ottenuto da un parziale distacco del corpo astrale che viene disposto dalla droga nella configurazione dell’innamoramento, ancora più marcata nel caso dell’ecstasy. Anche in questo caso, rimanendo il corpo astrale nelle vicinanze del consumatore, si verifica una sorta di “fusione” della parte fluttuante del proprio corpo astrale con quello dei consumatori nello stesso stato, ottenendo l’empatia e la vicinanza animica. A differenza di oppio e cannabis, che provocano solo l’allontanamento dei corpi superiori con conseguente diminuzione dello stato di veglia e relativa confusione, una parte dei corpi superiori non solo è trattenuta dall’ecstasy, ma inserita ancora più tenacemente nel corpo fisico (il contemporaneo effetto amfetaminico – e dunque arimanico – cui si accennava in precedenza). Ne consegue che il consumatore può sperimentare in stato di veglia il contatto con l’amore universale e soprattutto con le altre anime, in uno stato di beatitudine che però, come l’innamoramento indotto, non sorge per un moto dell’Io ma è solo un mero effetto della sostanza. Poiché l’assunzione di ecstasy è paragonabile a un vero e proprio metodo di iniziazione del passato (per motivi che non ho modo di spiegare in questa sede, ma per i quali rimando come sempre alla lettura del mio saggio “Paradisi artificiali” edito da Novalis), si assiste a un’attivazione precoce del fiore di loto a dodici petali, i cui sei petali ancora inattivi vengono messi in movimento dalla droga e non tramite l’esercizio e l’evoluzione individuale.

Gustav Klimt, “Adamo ed Eva” (1918)

A questo punto è facile comprendere quali siano i postumi dell’assunzione di ecstasy: a livello fisico si ha una deplezione dei neuroni serotoninergici, data la notevole quantità di serotonina che viene liberata d’un colpo dalla sostanza, con conseguenti stati depressivi e psicotici; a livello eterico si assiste a un esaurimento delle forze dovuto alla super-attività indotta dalla parte amfetaminica, che innalza artificialmente la soglia di resistenza fisica, stanchezza, fame e sonno; a livello animico i sentimenti di empatia e gioia si trasformano nel loro opposto di tristezza, ostilità verso il prossimo e l’ambiente, paura, chiusura in se stessi. A ciò contribuisce la deformazione, che può essere permanente, del fiore di loto non correttamente attivato, come già descritto da Rudolf Steiner ne “L’iniziazione” (O.O. 10) riguardo a metodi iniziatici non corretti, dei quali l’ecstasy rappresenta un esempio:

“La disciplina occulta può anche dare speciali indicazioni che accelerano la maturazione di questo fiore di loto, e anche qui la formazione regolare di quest’organo sensorio dipende dallo sviluppo delle qualità sopracitate (per esempio con i Sei Esercizi, N.d.R.). Se non si provvede a questo sviluppo, l’organo risulterà deformato. In tal caso, con lo svilupparsi di una certa chiaroveggenza, le suddette qualità possono volgersi al male, anziché al bene. L’uomo può diventare particolarmente intollerante, pauroso, contrario al suo ambiente. Ad esempio può arrivare a sentire i sentimenti delle altre anime, e di conseguenza allontanarsene e odiarle. Può giungere a tal punto che, per il freddo che gli invade l’anima di fronte a opinioni opposte alle sue, non sia in grado di ascoltarle, assumendo un atteggiamento ostile.”

Henri Rousseau, “Il sogno” (1910)

Inoltre l’Io è costretto a seguire il corpo astrale nella sua espansione divenendo anch’esso periferico, e nel contempo è obbligato a “guardare” l’altra parte del corpo astrale connettersi ancora più energicamente ai corpi fisico ed eterico. Questa perdita di centralità sul momento risulta piacevole all’Io che viene così “messo da parte”, ma tornando alla vita reale si traduce in una sempre maggiore mancanza di iniziativa, instabilità e perdita di contatto con la realtà. A tutto questo bisogna aggiungere l’evocazione artificiale di stati di coscienza precedenti dell’umanità che porta a un progressivo dissolvimento dell’Io nel tutto e, in particolare per un uso ripetuto, a compiere in definitiva un “passo indietro” nell’evoluzione: le esperienze di apertura, empatia, calore, simpatia e amore, sperimentate sotto l’effetto della sostanza, non potranno mai diventare qualità dell’Io perché non sono state acquisite con l’esercizio, lo sforzo e l’errore, e oltretutto si riferiscono a uno stato precedente e non più ripetibile dell’evoluzione (bisogna però sottolineare l’indubbia “valenza karmica” che potrebbe avere anche una singola assunzione di tale sostanza, e sarebbe da riflettere sulla natura libera o non libera degli incontri e dei legami interumani che si formano grazie a essa, come ampiamente riportato in letteratura).

Federico Zandomeneghi, “Il paradiso terrestre” (ca. 1900)

La molecola originaria dell’ecstasy ha inoltre subito negli anni svariate variazioni molecolari ad opera dei laboratori clandestini dove viene sintetizzata e, nella forma di “pasticca” in cui giunge al consumatore finale, è spesso associata ad altre sostanze sintetiche, dagli allucinogeni ad altre metamfetamine delle quali non si conosce mai la vera natura. Ciò rende difficile non solo lo studio degli effetti a lungo termine, ma anche l’intervento sanitario nei casi di sovradosaggio o reazioni avverse, prima fra tutte l’ipertermia maligna, spesso fatale. Il tutto è ulteriormente complicato dalla contemporanea assunzione da parte del consumatore di altre sostanze stupefacenti, tra le quali è sempre presente l’alcol, che amplifica a dismisura sia gli effetti disforici che la severità dei postumi.

Proprio l’alcol, droga onnipresente e tipica del percorso evolutivo dell’uomo del Centro, sarà l’argomento di studio del prossimo articolo.

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SUI PARADISI ARTIFICIALI (1/7)

C. E. E. Delort, Fumo voluttuoso (1860 ca.)

Questo è il primo di una serie di sette articoli, già pubblicati sulla rivista Artemedica, nei quali presenterò nelle sue linee generali lo studio sulle sostanze stupefacenti riportato nella sua interezza nel mio saggio “Paradisi Artificiali – le droghe e l’uomo da un punto di vista scientifico-spirituale” edito da Novalis e disponibile in vendita per chi volesse approfondire l’argomento (alcuni estratti sono contenuti in questo sito alla categoria “Libri”). Il metodo di indagine utilizzato si basa sulla Scienza dello Spirito, o Antroposofia, inaugurata da Rudolf Steiner un secolo fa, della quale è consigliato avere una conoscenza dei fondamenti per affrontare l’argomento.

Le sostanze stupefacenti non rappresentano solo un importante argomento dei tempi attuali, ma hanno giocato da sempre un ruolo di primo piano nel percorso evolutivo dell’umanità. Non si deve quindi commettere l’errore di considerarle unicamente dal loro lato fisico-sensibile con lo sguardo materialistico tipico dei nostri giorni, ma occorre studiarle con un approccio completo che consideri anche la loro storia, la geografia, l’osservazione delle entità vegetali dalle quali derivano, nonché le caratteristiche dei popoli presso i quali sono nate e si sono diffuse, ampliandone in particolare la  conoscenza da un punto di vista soprasensibile che abbracci la loro attività spirituale. Infatti l’approccio rivolto alla prevenzione del loro abuso basato solo sul dato fisico e biochimico continua a rivelarsi fallimentare, se non controproducente.

Rudolf Steiner ha ribadito più volte l’importanza della conoscenza, l’unica e sola via che può permetterci di formulare un’idea propria sull’argomento e farci decidere – nella nostra individuale libertà – di prendere posizione e agire poi di conseguenza. Emblematico (e come sempre attualissimo) questo passo tratto dalla O.O.348 “Alcool e nicotina”, che riporta le parole di Steiner a conclusione di una conferenza del 1923 a Dornach, proprio agli albori dell’epoca del Proibizionismo americano.

“Si può quindi proibire ogni sorta di cose, ma gli uomini ricorreranno a qualcos’altro che non è stato previsto dalle norme ed è ben peggiore. Penso invece che le informazioni sugli effetti dell’alcol, come quelle che abbiamo visto oggi, possano in realtà agire in modo più efficace, conducendo gradualmente le persone ad abbandonare l’alcol con decisione autonoma. Informazioni di questo tipo non ledono la libertà umana, ma fanno in modo che qualcuno si dica: è davvero preoccupante che io venga danneggiato fin nelle ossa! Questo pensiero agisce sul sentimento, mentre le leggi agiscono solo sulla ragione. Verità autentiche, conoscenze vere agiscono fin nel sentimento. La mia convinzione è quindi che si possa arrivare a un’efficace riforma sociale solo facendo in modo che una reale informazione giunga a cerchie sempre più vaste, e ciò vale anche per altri campi analoghi. […] Questo è ciò che si deve avere prima di tutto nella scienza: il rispetto per la libertà umana, così che non si abbia mai l’impressione che si voglia imporre o proibire qualcosa, ma si parli di fatti. Quando una persona sa come l’alcol agisce, arriverà da sola a ciò che è giusto. Procederemo così sempre di più verso l’obiettivo che uomini liberi si diano da sé la loro direzione. A questo dobbiamo tendere, e poi potremo arrivare alle giuste riforme sociali.”

Quali sono queste “verità autentiche”, queste “conoscenze vere” di cui parla Steiner, in grado di agire fin nel sentimento? Non di certo le attuali campagne terroristiche antidroga o antifumo incentrate unicamente su dati fisio-patologici – tra l’altro frequentemente mistificati – che appunto non sortiscono alcun effetto preventivo, addirittura ottenendo spesso l’effetto opposto (il consumatore percepisce la falsità della comunicazione e finisce per ignorare qualunque rischio, arrivando paradossalmente a considerare la sostanza stupefacente priva di effetti nocivi). Le “conoscenze vere” che sono in grado non solo di arrivare al pensare libero dell’uomo, ma anche al suo sentimento e, conseguentemente, a far muovere la sua volontà, sono unicamente quelle che prendono in considerazione il “tutto” della realtà, formata dall’elemento sensibile e da quello soprasensibile che vi sta sopra, ignorato dalla scienza attuale.

Mosso da questi intenti ho iniziato qualche anno fa lo studio sul rapporto tra droghe ed essere umano, basandomi sull’eccellente lavoro di Ron Dunselman pubblicato negli anni ’90 con il titolo “In place of the Self. How drugs work”. In quel testo, per la prima volta, ho ravvisato il genuino intento di portare “conoscenze vere” all’umanità, senza quell’atteggiamento moralistico sempre presente in questo campo e che porta agli effetti deleteri del “fascino del proibito”. Partendo proprio dai vasti studi e dalle geniali deduzioni di Dunselman, mi sono addentrato in un lavoro complesso e affascinante che ha abbracciato tutta l’evoluzione dell’umanità nello spazio e nel tempo, in ambito storico, letterario, artistico, nonché, ovviamente, in ambito scientifico, geografico e botanico, dal momento che queste non sono altro che divisioni fittizie dell’unicum del sapere umano.

Ciò ha portato alla genesi del già citato saggio “Paradisi Artificiali – le droghe e l’uomo da un punto di vista scientifico-spirituale” edito da Novalis tre anni orsono. Alla pubblicazione del libro sono seguite, e proseguono, numerose conferenze dove ho sempre potuto riscontrare non solo l’interesse e il coinvolgimento del pubblico, ma l’effetto che la comunicazione di “conoscenze vere” sortisce in chi ascolta. Esse agiscono come un’illuminazione che ogni individuo elabora e porta in sé, giungendo proprio a quelle decisioni libere di cui parla Steiner.

In questo primo articolo tratterò dell’argomento in generale, delineando le caratteristiche di ogni gruppo di sostanze che poi verranno prese in considerazione singolarmente.

Come dividere le sostanze in gruppi che tengano conto della loro attività spirituale, della loro non casuale distribuzione geografica e antropologica, nonché del loro specifico momento di comparsa e massimo utilizzo nella storia? Basta lasciar parlare le sostanze stesse e, in particolare, le entità vegetali da cui derivano. Bisogna infatti tener presente che il principio attivo psicotropo non è che il risultato sensibile dell’elemento spirituale attivo nella pianta da cui deriva. Analogamente tale principio attivo di natura fisico-minerale non potrà ovviamente agire in maniera diretta sui corpi costitutivi dell’uomo (corpo fisico, corpo eterico, corpo astrale, organizzazione dell’Io), bensì su specifici organi o recettori che poi saranno a loro volta causa degli effetti animico-spirituali.

Come vedremo, ogni sostanza sarà portatrice di effetti molto diversi, ma tutte (compresi gli psicofarmaci di uso comune) hanno un imprescindibile minimo comun denominatore da tenere sempre presente: i cambiamenti di coscienza che ci si propone assumendo una determinata sostanza vengono raggiunti grazie alla sostanza e non grazie al lavoro cosciente del proprio Io (non a caso il libro citato di Dunselman si intitola proprio “Al posto dell’Io”). In tal senso le droghe possono essere viste come sostituti dell’attività e dello sviluppo dell’Io, quindi in linea generale agenti in senso anti-evolutivo. Tuttavia, proprio per la loro affinità alle forze dell’ostacolo, può capitare che in casi specifici possano fungere – sempre considerando la singola assunzione e mai l’uso cronico – da “scintilla” per innescare un importante cambiamento di vita nel consumatore, spingendolo a un lavoro attivo con il proprio Io. E qui torna il discorso sulla scelta libera dell’uomo che è l’unica a dare a posteriori un valore morale a sostanze o piante che esistono di per sé nell’ambito pre-morale della Natura.

Ogni pianta ci racconta dunque della sfera spirituale cui appartiene e dell’influsso che può esercitare sull’uomo. Partendo da Oriente e dai tempi più remoti della Storia, il papavero da oppio e la cannabis si dichiarano entità vegetali prettamente luciferiche, così come la conformazione geologica del territorio da cui provengono e il carattere animico-religioso-culturale dei suoi abitanti. Alla polarità opposta, nell’estremo Occidente, e in tempi più recenti, la coca e gli allucinogeni appartengono invece all’ambito di Arimane, non solo nelle loro forme e segnature, ma conseguentemente anche nell’effetto che procurano al consumatore. Nel mezzo stanno le droghe tipiche del Centro, come l’antico alcol e la recente ecstasy, sostanze portatrici degli impulsi di entrambe le forze dell’ostacolo, sia luciferica che arimanica.

Le droghe luciferiche si propongono di riportare l’uomo a stati di coscienza precedenti, di appagare illusoriamente in lui la nostalgia verso i tempi in cui viveva in uno stato paradisiaco di contiguità con le gerarchie celesti, senza il dolore ma anche senza la conoscenza (lo stato antecedente al “peccato originale”). Ovviamente, per fare ciò, queste sostanze devono svegliare una coscienza per immagini (come quella che appunto aveva l’uomo in epoche passate), spegnendo al contempo la coscienza di veglia propria del momento evolutivo attuale. Tipico di queste sostanze è il risveglio di immagini astrali (“sogni”) più che di immagini eteriche (“allucinazioni”), caratteristica invece di alcune droghe arimaniche. Ciò accade perché le droghe luciferiche agiscono con più forza sul corpo astrale e sull’Io del consumatore, nel loro intento di rievocare, creare atmosfere, sensazioni, emozioni, colorando di sentimento ogni percezione. Tutte le piante da cui si estraggono hanno bisogno di luce e calore, per cui vivono in zone calde o caldo-umide, e addirittura alcune di esse, come la cannabis, più hanno luce e calore, più riescono a produrre una droga con alto tenore di principi attivi. Per avere ancora qualche qualità che caratterizzi questo genere di droghe, da mettere in polarità con quelle arimaniche, possiamo pensare a qualcosa che tende a effondersi nel cosmo, ai colori pastello, al gusto del dolce, al “sulfur”, alla dilatazione, al sangue, all’isteria, al “solve”, a tutto ciò che tende verso l’alto, all’atmosfera di sogno, allo spegnersi della volontà, al sonno.

Papavero da oppio in fiore

Al contrario, le piante che forniscono sostanze stupefacenti dall’effetto arimanico non amano la luce e tantomeno il calore: la coca cresce su altipiani a duemila metri di altezza, le altre sono funghi – dunque esseri del buio – oppure cactus che prediligono i climi freschi e che si difendono dal calore, senza aprirsi o concedersi a esso (come fa per esempio la cannabis che emette resina “donandola” al cosmo), piuttosto chiudendosi in se stessi e lasciando alle dure spine l’unica via di scambio con il calore esterno. La droga da cui si estrae il principio attivo è dura, fredda, non è un lattice o una resina come per l’oppio e la cannabis, ma una foglia come la coca, o un insieme di fibre che donano un principio attivo salino, cristallino. Accanto a questi caratteri possiamo pensare alla qualità dell’amaro, di un movimento che restringe (per esempio la vasocostrizione della cocaina e dell’ergotina), un movimento centripeto che mira al centro della Terra; possiamo pensare al “coagula”, al buio, al freddo, al nervo, al “sal”, alla sclerosi, alla nevrastenia, ai colori violenti, alla veglia.

Fungo Psylocibe Pelliculosa

Per quanto riguarda nello specifico gli allucinogeni arimanici, mentre le immagini che talvolta suscitano nel consumatore le droghe luciferiche sono visioni, sogni, illusioni sperimentate in uno stato più vicino al sonno che alla veglia (e sempre legate allo stato immaginativo di precedenti periodi evolutivi), quelle suscitate dalle droghe occidentali sono vere e proprie allucinazioni, perché aprono al consumatore l’accesso al mondo eterico che ancora non è dato all’uomo di esplorare, e sono sempre sperimentate in uno stato pericolosamente vigile di veglia. L’allucinogeno arimanico dona brutalmente al consumatore gli effetti di un’iniziazione mancata, gli dona precocemente accesso a un mondo che solo in un lontano futuro e in un successivo stato evolutivo sarà accessibile coscientemente all’essere umano (o nel post-mortem, ma in questo caso non coscientemente), a differenza delle droghe luciferiche, le quali invece mostrano al consumatore immagini di un mondo già vissuto in altre esistenze, più “rassicurante” in quanto ancora presente in qualche parte remota della coscienza. Del resto, per caratterizzare in due parole una qualunque azione arimanica potremmo semplicemente dire “il troppo presto”, e per quella luciferica “il troppo tardi”.

Da queste caratterizzazioni generali, possiamo evincere gli effetti delle droghe del Centro, le quali presentano, in tempi d’azione differenti, entrambi gli aspetti appena considerati.

Ora siamo pronti a partire per l’avvincente viaggio di scoperta delle sostanze stupefacenti, iniziando con il prossimo articolo dall’estremo Oriente con quella droga che esprime appieno l’entità luciferica, e che tanto è stata celebrata nell’arte e nella letteratura: l’oppio, con tutti i suoi micidiali derivati come morfina ed eroina.

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LE FORZE DELL’OSTACOLO

In questo particolare del maestoso “Fregio di Beethoven” di Klimt, da me fotografato alla mostra tuttora in corso a Palazzo Braschi (che vi invito caldamente a visitare), sono rappresentate le “forze dell’ostacolo” nella figura del mostro-scimmione Tifeo (rappresentazione delle forze materialiste) circondato dalle Gorgoni e da altre figure che simboleggiano i vizi.

Tale raffigurazione occupa la parte centrale delle tre in cui è diviso l’affresco, concepito come il percorso evolutivo dell’essere umano per raggiungere la felicità, qui rappresentata dal congiungimento con la donna amata. Quello del percorso evolutivo costellato da difficili prove è un tema da sempre presente, in varie declinazioni, in tutte le forme d’arte, dalla letteratura al teatro, dalle arti figurative alla danza.

Chiaramente la parte più dura del cammino è proprio l’incontro con le “forze dell’ostacolo” che vanno sconfitte e superate… Ma chi sono queste entità presenti in ogni tempo, filosofia o religione? Sono “buone” o “cattive”? Se consideriamo “buono” tutto ciò che favorisce l’evoluzione interiore e “cattivo” ciò che la ostacola, a tutta prima potremmo collocarle nella schiera dei “cattivi”, come appunto le ha rappresentate Klimt. Tuttavia, a uno sguardo più ampio, è proprio l’incontro e il relativo superamento di tali ostacoli che permette all’uomo di acquisire determinati gradini evolutivi altrimenti impossibili da raggiungere. Dunque, se l’uomo le supera ed evolve, si rivelano a posteriori entità “buone”; se al contrario soccombe ad esse, regredendo nella sua evoluzione, hanno avuto il ruolo di “cattive”.

La realtà è che non sono né buone né cattive, esse semplicemente “esistono” e svolgono il loro lavoro di ostacolatrici, poi è l’uso che ne fa l’individuo a donare loro una dimensione morale. Siamo sempre noi la misura di ogni cosa. E dobbiamo sempre tenerlo presente, in particolare in momenti “ostacolatori” come quello che stiamo vivendo, quando ci viene voglia di inveire contro il mondo o, peggio, di piangerci addosso, ciechi alle possibilità evolutive che ci offre una situazione impegnativa come l’attuale.

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PARADISI ARTIFICIALI

In questo saggio ho cercato di ampliare i miei studi sulle sostanze stupefacenti da un punto di vista soprasensibile, secondo la visione della medicina antroposofica steineriana. Se infatti la scienza convenzionale si occupa solo di descrivere i meccanismi biochimici – tra l’altro spesso ancora ignoti – di cui si servono le droghe per agire sulla coscienza umana, ampliando lo sguardo verso lo spirituale possiamo essere in grado di comprendere le ragioni di tale azione, il motivo per cui una determinata pianta vuole agire in quel modo sulla psiche e quali forze spirituali vi sono dietro.

Tale studio, come sempre accade quando si indaga con il metodo della scienza dello spirito inaugurata da Rudolf Steiner, mi ha portato ben oltre la descrizione di ogni droga, abbracciando tutte le espressioni dell’umano, come arte, letteratura, religioni, storia, miti. Le sostanze stupefacenti hanno infatti accompagnato da sempre la nostra storia, agendo sia come forze evolutive che come ostacoli all’evoluzione, sia a livello individuale che a livello generale di un determinato popolo o civiltà. Ciò perché ognuna di esse è latrice di differenti forze spirituali, dal ritorno illusorio verso il paradiso terrestre promesso dall’oppio all’incarnazione materialistica del presente favorita da alcol e coca, fino all’esplorazione di future epoche evolutive aperta dagli allucinogeni.

Per comprendere tale visione è necessario sgombrare la mente da pregiudizi e moralismi, cercando di portarsi un po’ più in là della mera esistenza fisica per gettare uno sguardo al mondo soprasensibile come causa prima di ogni manifestazione terrestre.

Libri

PARADISI ARTIFICIALI

Le sostanze stupefacenti hanno accompagnato la storia dell’umanità sia come elemento fondamentale che come ostacolo all’evoluzione. Allora in che modo bisogna considerarle da un punto di vista scientifico-spirituale, oltre ai noti meccanismi chimico-fisici? Qual è la loro azione soprasensibile sull’uomo? E quale il loro significato esoterico nella nostra storia evolutiva?

Il dottor Orlando Donfrancesco, farmacista a orientamento antroposofico, ci accompagnerà in un avvincente viaggio nel mondo delle droghe lungo lo spazio e il tempo, ricco di citazioni letterarie, storiche e artistiche: dall’Oriente della canapa all’Occidente della coca, dalle prime civiltà che tramite l’oppio ritornavano verso i mondi spirituali, all’incarnazione materialistica del presente favorita dall’alcol, arrivando a esplorare le epoche future aperte dagli allucinogeni.

Oppio, eroina, cannabis, ecstasy, alcol, coca, amfetamine, funghi, peyote, LSD: ognuna di queste entità è latrice di differenti influssi spirituali che saranno analizzati in maniera accessibile a tutti, in uno stile sempre brillante e coinvolgente, per aprirci a una nuova visione delle droghe.